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CESSAZIONE DELLA CONVIVENZA E CASA FAMILIARE: A CHI SPETTA?

Per convivenza more uxorio si intende quella che oggi chiamiamo convivenza di fatto, ossia l’unione stabile tra due persone senza che abbiano celebrato alcun rito di matrimonio.

CESSAZIONE CONVIVENZA (CON FIGLI COMUNI)

In caso di cessazione della convivenza con figli minori (o equiparati) comuni, in mancanza di accordo dei conviventi, il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli.

Ciò vuole dire che la casa può essere assegnata al genitore presso cui sono prevalentemente collocati i figli. 

Se i conviventi hanno figli minori o equiparati, al termine della convivenza, in mancanza di accordo dei genitori, il giudice ha il potere di indicare quale dei partner può restare nella dimora familiare, a prescindere dalla sussistenza di un titolo concreto per il godimento dell’immobile. In questo caso, il giudice può concedere un termine al genitore estromesso per lasciare la casa ma può anche disporne l’immediato rilascio.

In questo caso diventa irrilevante che la proprietà sia di uno, dell’altro o di entrambi gli ex conviventi: prevale il diritto di assegnazione.     

Se è in corso un contratto di locazione, il provvedimento di assegnazione determina la concentrazione del rapporto negoziale in capo all’assegnatario con conseguente esclusione definitiva del partner non assegnatario. E, infatti, il provvedimento di assegnazione della casa familiare determina una cessione “ex lege” del relativo contratto di locazione a favore del convivente assegnatario e l’estinzione del rapporto in capo al partner che ne fosse originariamente conduttore.

Tale estinzione si verifica anche nell’ipotesi in cui entrambi i conviventi abbiano sottoscritto il contratto di locazione, succedendo in tal caso l’assegnatario nella quota ideale del congiunto.

Per quanto sin qui illustrato, in caso di cessazione della convivenza, il convivente presso cui sono collocati prevalentemente i figli dunque, acquista il diritto di godimento della casa di comune residenza di proprietà del partner. 

CESSAZIONE DELLA CONVIVENZA (SENZA FIGLI COMUNI).

In mancanza di figli (comuni) nessuno dei conviventi di fatto può richiedere che l’immobile gli sia assegnato. Ciò vuol dire che quello dei partners che sia proprietario o titolare del diritto di godimento in via esclusiva, al termine della convivenza potrebbe, in teoria, allontanare l’altro ad nutum. 

Così non è! Il canone della buona fede e della correttezza impone al legittimo titolare di avvisare il partner e di concedergli un termine congruo per reperire altra sistemazione.

In caso di recesso unilaterale dal contratto di convivenza, è espressamente previsto che nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine non inferiore a 90 giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione. 

Questo termine non deve ritenersi tuttavia inderogabile ma deve ritenersi negoziabile dalle parti.

IN CASO DI DECESSO DEL CONVIVENTE PROPRIETARIO. 

In caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i 5 anni. Ove nella stessa casa abitano figli minori o figli disabili del convivente superstite il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni (art.1 comma 42, l. numero 76 del 2016).

Questo diritto di abitazione viene meno qualora il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto. Ricordiamo che tra conviventi, in assenza di testamento, non sussistono diritti ereditari.

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